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Una teoria per i tributaristi

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Home Arbitraggi elusivi il rifiuto di disapplicazione va impugnato
il rifiuto di disapplicazione va impugnato PDF Stampa E-mail
Arbitraggi elusivi
Scritto da Administrator   
Domenica 17 Aprile 2011 13:41

L'allegata sentenza si colloca, correttamente anche se forse inconsapevolmente, nell'unica matrice concepibile della tassazione, cioè quella amministrativistico-economica, anzichè quella legalistico-processuale, confermando altresì che i giudici prima decidono "secondo buonsenso" e sensibilità e poi

verificano questa conclusione con le disposizioni legislative, che vengono anche un pò "forzate", se non impongono ostacoli insormontabili. La sentenza è stata forse determinata dalla vicenda processuale "a monte" , che aveva invece respinto l'autonoma impugnabilità del diniego di disapplicazione, e dal ricorso di agguerriti contribuenti, che cercavano un appiglio legislativo per limpugnabilità..Questo appiglio è stato trovato nei "dinieghi di agevolazione" , dimenticando che una agevolazione tributaria è un trattamento favorevole estraneo alla determinazione della ricchezza, ma ispirato a qualche altro interesse extrafiscale. La disapplicazione della norma antielusiva viene chiesta in base a una contraddizione tra un regime generale di determinazione della ricchezza, pregiudizialmente limitativo, per paura di scappatoie elusive, ed una situazione in cui questi timori non potevano  giustificarsi. Si tratta però di una contraddizione tra disposizioni dirette alla stessa funzione, cioè la determinazione della ricchezza, e la agevolazione tributaria non c'entra assolutamente  nulla.

Ciò premesso la sentenza, nel contesto, "ci può stare", anche se mi sembra riproponga le contraddizioni e le assurdità della via processuale al diritto tributario, rispetto alla via amministrativa. Prima di tutto, come la mettiamo con chi non ha impugnato, fidando nella mancata indicazione degli atti in esame nell'elenco dell'art.12? E poi come la mettiamo con la mancanza, negli atti di diniego di disapplicazione, delle indicazioni della ricorribilità, per non dire anche della circolare ministeriale secondo cui tali atti non sono impugnabili??  Tutto questo conferma , puramente e semplicemente, che la via legalistico processuale alla tassazione, semplicemente è ingovernabile, come sarebbe un diritto dei privati in cui le parti non possono  mettersi d'accordo.

Cass. 15.4.2011 n. 8663

[Omissis]

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i ricorsi proposti contro la stessa sentenza ( nn, RG [Omissis], [Omissis], [Omissis], [Omissis], [Omissis]) devono essere riuniti ex art 335 c.p.c..
Con il primo articolato motivo comune a tutti i ricorsi i contribuenti lamentano la violazione dell'art. 19 DLgs. n. 546 del 1992, art. 112 c.p.c., ed inoltre insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'art. 360, I comma nn. 3 e 5 c.p.c..
In subordine, eccepiscono la illegittimità costituzionale dell'art. 19 cit., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in relazione alla mancata previsione di autonoma impugnabilità del provvedimento di diniego a seguito di istanza di interpello ai sensi dell'art. 37-bis, comma 8, DPR n. 600 del 1972.
Espongono in primo luogo che, se il diniego di cui si tratta non si considera rientrante tra quelli autonomamente impugnabili ai sensi dell'art. 19 cit. si avrebbe una ipotesi di un atto sostanzialmente impositivo (perché nel caso concreto incide sulla base imponibile da assoggettare ad IRPEG) che non confluendo in un atto successivo, non sarebbe suscettibile di impugnazione neppure mediata, con violazione del diritto di tutela del contribuente costituzionalmente garantito. Tale effetto tuttavia non dovrebbe ritenersi verificato, in quanto ad avviso dei ricorrenti l'atto di cui si discute è equipollente ad un diniego di agevolazione, cioè ad un atto nominato all'art. 19 cit., I comma, lett. h) e come tale autonomamente impugnabile.
Osservano infatti che nell'ordinamento esistono disposizioni limitanti determinate facoltà dei contribuenti, che comportano ostacoli a deduzioni di imposta, detrazioni o comunque elementi favorevoli ai medesimi, ostacoli che possono essere rimossi mediante condotte che, in determinate condizioni, consentono di usufruire del trattamento favorevole, realizzando così una agevolazione fiscale.
Nella specie, il compimento di determinate operazioni finanziarie è considerato dalla legge idoneo a consentire effetti elusivi a fini fiscali, e pertanto è sottoposto ad una disciplina più restrittiva rispetto a quella normalmente applicata.
A tale proposito la legge (art. 37-bis, comma 8 cit.) prevede la possibilità di disapplicare le norme antielusive restrittive e gravatorie (che comportano il pagamento di maggiori imposte) ove il contribuente dimostri che l'operazione dal medesimo prospettata non ha nemmeno astrattamente la possibilità di porre in essere un comportamento elusivo.
In tal caso, è preclusa la facoltà di disapplicazione diretta da parte dell'interessato, essendo prevista una procedura apposita ed ineludibile che prevede, previa presentazione di idonea documentazione, la valutazione della istanza di disapplicazione, detta interpello, da parte del direttore regionale delle Entrate, che si conclude con un assenso od un diniego, (come nella specie) con la conseguenza che in tale ultimo caso all'istante è precluso il trattamento fiscale favorevole.
Ne consegue che il diniego di disapplicazione della norma antielusiva integra un caso di negazione di agevolazione fiscale, ed il relativo provvedimento (indicato come definitivo in sede amministrativa dal D.M. 19.6.1998, n. 259, attuativo della procedura di cui al citato comma 8) è direttamente impugnabile ai sensi dell'art. 19 DLgs. 546/1992.
Ne deriva inoltre che è chiara la sussistenza dell'interesse ad agire, in quanto l'azione giurisdizionale è diretta ad eliminare un effetto sfavorevole non altrimenti evitabile, atteso che in mancanza di assenso dell'organo a ciò deputato la disapplicazione della norma elusiva diventa illecita, con le relative conseguenze; né sarebbe praticabile la via indicata nella sentenza di primo grado, di impugnare il silenzio rifiuto da parte della Amministrazione alla istanza di rimborso della somma versata in eccedenza in forza della norma antielusiva, dimostrando in giudizio l'assenza di elusività della operazione, in quanto il rigetto della istanza di interpello renderebbe in ogni caso non disapplicabile la legge sfavorevole vanificando la pretesa del contribuente.
Sostengono che l'assunto delle sentenza impugnata, secondo cui l'atto di cui si parla non può essere assimilato ad un diniego di agevolazione, in quanto la posizione del contribuente rispetto alla determinazione dell'organo amministrativo competente configurerebbe un interesse legittimo, da un lato è errata, dall'altra integra una ipotesi di difetto di motivazione, non chiarendo in alcun modo la sentenza il motivo ed presupposti della sussistenza di un interesse legittimo in capo al contribuente in luogo di un diritto soggettivo.
Aggiungono che anche l'osservazione della sentenza di appello secondo cui il "diverso trattamento normativo" era giustificato dalle differenze sostanziali tra gli istituti del diniego e della revoca di agevolazioni e quello considerato, era del pari illogico e non motivato in ordine alle menzionate ma non spiegate caratteristiche differenziali.
Concludono, richiamando le già esposte considerazioni, che ove dovesse ritenersi la non impugnabilità del diniego perché non espressamente menzionato nell'art. 19 cit., tale disposizione di legge sarebbe da ritenersi viziata da incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e del diritto di difesa del contribuente di cui all'art. 24 dello stesso testo fondamentale.
Con il secondo mezzo, per la ipotesi in cui la Corte ritenesse la possibilità di decidere nel merito, espongono i motivi di illegittimità del diniego impugnato e di fondatezza sostanziale delle istanze degli istituti di credito ricorrenti.
Il primo motivo è fondato per tutti i ricorsi riuniti sotto entrambi i profili svolti.
.............E' a tal fine sufficiente leggere il testo del comma 8 dell'art. 37 DPR 600/73 ( "le norme tributarie... [n.d.r. antielusive] possono essere disapplicate ove il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi..) per rilevare come l'unico onere imposto al contribuente per conseguire il potere di disapplicazione consiste nella dimostrazione di una situazione di fatto, ovvero l'assenza dei pericoli di elusione che le norme citate sono dirette ad evitare. Con la ulteriore conseguenza che il contribuente che assolve all'onere non ha un mero interesse ad una decisione favorevole della Amministrazione, ovvero un interesse legittimo, ma un diritto soggettivo perfetto, una volta verificata la condizione di non elusività della operazione prospettata, alla non applicazione della legge limitativa.
La procedura speciale delineata a tal fine dalla ultima parte del comma, infatti, che subordina il potere di disapplicazione alla determinazione favorevole da parte del direttore regionale delle Entrate, definita nel dettaglio dal decreto di attuazione n. 259 del 19.6.1998, (che al punto 6 definisce espressamente il provvedimento, positivo o negativo, del Direttore come "definitivo") non attribuisce affatto all'organo amministrativo designato un potere discrezionale di merito, nel senso di attribuirgli la facoltà di negare od affermare il potere di disapplicazione a prescindere dalla dimostrazione o meno da parte del contribuente della non elusività neppure potenziale della operazione, sia pure per motivi di opportunità nell'ambito di un interesse pubblico generale.
Il silenzio del testo legislativo e regolamentare sul punto conferma che l'unica interpretazione possibile sul piano ermeneutico porta alla conclusione che il potere attribuito all'organo verificatore è di ordine meramente tecnico, limitato ad una valutazione della forza probante della documentazione presentata dal contribuente, per cui ove ritenga raggiunta la prova è obbligato ad esprimere consenso, e per contro il diniego è unicamente legato ad una valutazione negativa in ordine alla attendibilità, completezza e concludenza dell'apparato probatorio sottopostogli sui presupposti della disapplicazione (come nel caso di specie è avvenuto).
Deve nel contempo rilevarsi che la disapplicazione della norma antielusiva sfavorevole, ricorrendone le condizioni, consente al contribuente di sottrarsi agli effetti pregiudizievoli della normativa in questione, normalmente obbligatoria per la generalità degli utenti, realizzando una deroga al trattamento generale a favore del contribuente medesimo, ed in tal modo concretando una ipotesi tipica di agevolazione fiscale.
Se infatti l'agevolazione fiscale si definisce tecnicamente un trattamento preferenziale in campo tributario condizionato alla esistenza di determinati presupposti di fatto, non è revocabile in dubbio che il trattamento concesso al titolare di operazione dimostrata come non elusiva rientri pienamente in tale categoria.
L'unico tratto differenziale del caso in questione dalla maggior parte delle ipotesi di agevolazione è di tipo meramente procedurale, nel senso che normalmente il potere di autorizzazione ovvero di verifica e controllo della condizioni applicative spetta all'Ufficio locale competente per territorio, laddove nella specie, attesa la rilevanza della agevolazioni richieste e la delicatezza e complessità delle questioni trattate, l'organo tecnico-valutativo è identificato nella massima autorità regionale in campo fiscale e l'atto di controllo consiste in una autorizzazione specifica e preventiva.
Deve inoltre sottolinearsi che la procedura autorizzativa non è in alcun modo surrogabile od eludibile, nel senso che la mancanza di determinazione favorevole impone indefettibilmente il rispetto della norma antielusiva e la sottoposizione agli effetti sfavorevoli che questa implica.
Da quanto sopra deriva che:
1) il diniego da parte dal direttore regionale della Entrate alla disapplicazione di una legge antielusiva ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 37 citato è atto recettizio di immediata rilevanza esterna;
2) tale atto costituisce ipotesi di diniego di agevolazione fiscale, e quindi è direttamente impugnabile innanzi alla Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 19, I comma, lett. h ) DLgs. n. 546 del 1992 che tale tipologia di atto espressamente prevede come autonomamente impugnabile;
3) non è dubbia la sussistenza di un interesse ad agire, in capo al destinatario del diniego, che con la azione giurisdizionale è in grado di evitare un effetto a sè pregiudizievole;
4) vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi il giudizio del giudice tributario è a cognizione piena, per cui estendendosi questa al merito dell'atto e non alla mera illegittimità del medesimo è possibile una decisione di merito sulla fondatezza o meno della domanda di disapplicazione, attribuendo direttamente, ove si ritengano ricorrenti le condizioni applicative, la agevolazione fiscale richiesta.
Rimane quindi assorbita la questione sull'eventuale profilo di incostituzionalità dell'art. 19 DLgs. n. 546/1992.
Ad ulteriore illustrazione del punto sub 3) di cui sopra, non può ritenersi (ipotesi accolta dal giudice di primo grado) che non possa riconoscersi la sussistenza di un interesse ad agire in capo al contribuente, sul rilievo che la impugnazione del diniego del direttore regionale della Agenzia delle Entrate non sarebbe di per sé atto idoneo ad ottenere la restituzione di quanto versato in dipendenza della non concessa agevolazione fiscale, in mancanza di una espressa domanda di rimborso, in quanto:
1) la impugnazione dell'atto di diniego si colloca al primo posto, quale atto indefettibile, nella procedura per ottenere il rimborso, in quanto solo ove si elimini tale fatto impeditivo (direttamente o in via giudiziale) il rimborso di quanto versato in via ordinaria diventa possibile;
2) una autonoma domanda in tal senso è superflua, in quanto per consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5298 del 2004; Cass. 1967 del 2005; Cass. n. 3412 del 2005; Cass. n. 3621 del 2006) atteso che la domanda di esenzione, ove ritualmente e tempestivamente formulata, costituendo esercizio del relativo diritto vantato dal contribuente (cioè della pretesa al riconoscimento della inesistenza totale o parziale della obbligazione tributaria, fondata sulla norma di esenzione, e quindi della inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento) non può non implicare anche la implicita ma inequivoca richiesta del contribuente stesso, volta alla restituzione, totale o parziale, di quanto già versato in via cautelativa, ovvero per obbligo di legge in carenza di autorizzazione. In sintesi, la domanda di agevolazione tributaria, tesa alla esenzione totale o parziale dal tributo, non può non valere anche come specifica istanza volta alla restituzione di quanto eventualmente e cautelativamente versato, sicché la stessa deve ritenersi ricompresa in modo implicito ma inequivoco, nella procedura consequenziale di impugnazione del diniego di agevolazione. Sicché appare incontestabile la sussistenza di un concreto ed attuale interesse ad agire in capo al contribuente.
Deve inoltre ulteriormente ribadirsi che la strada tracciata dal giudice di merito, ovvero di impugnazione del diniego di rimborso, senza previa impugnazione del diniego di disapplicazione della norma sfavorevole, non è nemmeno teoricamente praticabile, in quanto presuppone che tale atto non sia autonomamente impugnabile, (fatto escluso per quanto sopra detto) ovvero che avendo un valore non autonomo, ma meramente prodromico o propedeutico possa essere impugnato (e valutato) unitamente alla impugnazione diretta contro il rifiuto di rimborso.
Difatti, come sopra affermato, il diniego di cui si tratta, dovendo essere ricompreso tra quelli espressamente previsti dal citato art. 19, lett. h del DLgs. n. 546 del 1992, è atto tipico, ed impugnabile pertanto esclusivamente in via autonoma, per vizi suoi propri, ai sensi del terzo comma dell'art. 19 citato.
Ne consegue che la mancata impugnazione in termini di tale atto tipico comporta la intangibilità dello stesso, con esclusione di contestabilità successiva, ponendosi come fatto di per sé preclusivo della pretesa del contribuente nell'ambito del giudizio sul rifiuto espresso o tacito di rimborso.
Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto: "le determinazioni del Direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell'art. 37-bis, 8° comma, DPR n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l'esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell'art. 19, I comma, lett. h del DLgs.n. 542 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell'art. 1, comma 4, D.M. 19.6.1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all'istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate."
La decisione di cui alla sentenza impugnata pertanto non solo è assunta in violazione dei principi giuridici enunciati sulla applicabilità dell'art. 19 cit., ai fini della impugnazione del diniego, ma manifesta carenza di motivazione limitandosi ad enunciare che la non impugnabilità del provvedimento menzionato deriva dalla non assimilabilità dell'atto ad un divieto di agevolazione fiscale sul solo elemento concreto della asserita esistenza di una posizione di interesse legittimo del contribuente senza spiegare i motivi di tale affermazione, facendo poi un non comprensibile accenno ad argomenti presuntivi dati per presupposti.
Il secondo motivo, pure comune a tutti i ricorsi, peraltro palesemente inammissibile concernendo questioni di fatto non prese in considerazione la sentenza impugnata, rimane assorbito.
La sentenza deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata per nuovo esame a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana che si atterrà al principio sopra enunciato e provvederà sulla spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo di ciascun ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della commissione Tributaria Regionale dellaToscana.

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La terapia dell'interpello, prevenire bene per guarire o curare meglio

Per fare una comparazione con un'altra scienza sociale, é come se un paziente volendo chiedere un consulto sullo stato di salute si dovesse per legge rivolgere ad un medico specialista che lo visita una tantum e rilascia una diagnosi sullo stato di salute. Dopodiché il trattamento terapeutico verrà seguito e somministrato eventualmente dal medico di base. Tale medico, acquisendo il referto del medico sovraordinato che ha visitato una tantum il paziente, difficilmente si discosterà dalla valutazione espressa dal medico sovraordinato, attenendosi alla valutazione sommaria una tantum compiuta dall'organo medico sovraordinato. Dopo un po' di tempo, il paziente, non condividendo la cura, si rivolge ad una commissione che deve valutare l'operato del medico di base il quale riferirà che la sua valutazione é derivata ed in qualche modo é stata condizionata da quanto ha refertato un medico sovraordinato ex lege che ha espresso un'opinione. A questo punto la Commissione dice al paziente....ma sì, visto l'importanza che ha il parere espresso dal medico individuato ex lege, anziché opporti alla terapia del medico di base, se hai qualcosa da contestare, impugna il referto del medico individuato dalla legge per rilasciare il parere....
Senonché la decisione, che ha una logica kelseniana ineccepibile, non considera un aspetto: il paziente può impugnare la terapia ma nel frattempo il medico di base che deve seguirlo che fa? Si rifiuta di controllarlo (non può), lo controlla esprimendo una propria valutazione (mettendosi in contrasto eventualmente con il parere del medico sovraordinato ed indebolendo il responso di quest'ultimo), oppure attua comunque il proposito costringendo il paziente ad opporsi sia al parere dello specialista sia a quello del medico di base....Il paziente a questo punto si arrabbia, non capisce più a chi chiedere per sapere se va tutto bene o meno, teme solamente che ciascuna istituzione interpellata faccia in modo di assolvere il proprio compito con il minor rischio, demandando ad altri la valutazione di merito.

Ma...un bel giorno la scienza medica fa una proposta per uscire dal circolo vizioso alimentato da errori nei controlli e nella gestione del rapporto con il paziente: da oggi ciascun paziente potrà chiedere un parere al proprio medico di base: questi rilascierà una valutazione preventiva (che prima veniva fornita dal medico specialista sovraordinato), decisione che potrà essere impugnata tempetivamente portando la questione ad un organo sovraordinato che dovrà confermare, modificare, annullare quanto deciso dal medico di base. Il quale, se convinto della terapia, continuerà a somministrarla espondendosi anche ad una ulteriore valutazione da parte della Commissione che dovrà sincerarsi del suo operato, acquisendo anche il parere eventualmente rilasciato dall'organo medico specialistico e valutando complessivament e le ragioni del paziente e del medico.
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