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Una teoria per i tributaristi

Questo sito vuol contribuire a una teoria della tassazione, conciliando quella ragionieristica attraverso le aziende con quella valutativa attraverso gli uffici. Pur cercando di essere comprensibile da tutti, parte da aspetti facilmente inquadrabili dagli operatori del settore. www.giustiziafiscale.com   si rivolge invece direttamente agli opinion makers e agli esponenti della pubblica opinione. Sull'organizzazione sociale in generale www.organizzazionesociale.com

Home Controlli e contenzioso Quando i "no" dei giudici aiutano il fisco a crescere
Quando i "no" dei giudici aiutano il fisco a crescere PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Raffaello Lupi   
Domenica 13 Marzo 2011 09:28

Un giudice brillante della cassazione tributaria, che riflette e ragiona, disse, durante un convegno, l'indiscussa verità secondo cui  "il giudice e' un artigiano, che costruisce una sentenza di suo gusto...Con questa frase  coglieva consapevolmente

l'essenza dell'istituzionalismo giuridico, rispetto alle degenerazioni positivistiche , che vorrebbero veder scritta ogni riflessione da una autorità, legislativa, giurisdizionale amministrativa o accademica  (insomma, quelle degenerazioni che hanno ucciso in fasce il povero diritto tributario accademico),

non so se questo magistrato avesse riflettuto su Santi romano, o hauriou, o paolo grossi, ma intuiva quella valutativita' del diritto che è patrimonio dei giuristi, rispetto agli avvocati, concentrandosi  sul vero problema, che è cosa un giudice debba valutare. In proposito, questo stesso giudice dichiarò, con la massima trasparenza, che lui e i suoi colleghi sono lavoratori dipendenti non in grado di sfuggire al fisco, verso le cui tesi avevano una simpatia latente, soprattutto in tema di abuso del diritto, antieconomicità, e simili.

Tutto legittimo, ma dare ragione al fisco su capziosi rilievi di evasione interpretativa,è controproducente, rispetto alla ricerca della ricchezza nascosta, non rilevata. Dando sistematicamente ragione al fisco su queste tematiche, e con la massima buona fede, si agevola l'evasione in senso materiale, cioe' quella di chi non rappresenta al fisco i fatti nel modo giuridicamente più vantaggioso,  ma  omette proprio di rilevarli. Gia' le risorse dell'agenzia sono scarse, ma se ne distogliamo una quota rilevantissima sull'evasione interpretativa, si disperdono energie per effettuare la richiesta delle imposte dove le aziende non arrivano o dove i loro titolari mentono. E nessun giudice arriverà mai a quella ricchezza dove gli uffici non arrivano. Ed è buffo che, su queste questioni di diritto assai complesse, una giurisdizione di annullamento, sia pure incardinata forzatamente nel processo  civile, tende giustamente a respingere i ricorsi, se tanto tanto ha un dubbio. Perchè si sente più tranquilla..quando invece si tratta di ricchezza nascosta, e quindi di prove, il giudice si sente più sicuro e magari annulla senza fare sconti all'ufficio Il fisco dei processi verbali di disquisizione ha bisogno quindi di quei "no che aiutano a crescere", per riprendere il titolo  di un manualetto di pedagogia.  Unendo la sostanza amministrativistica di determinazione della ricchezza con le forme processualcivilistiche....E' il miglior contributo che i giudici possono dare alla giustizia tributaria.

 

PS Come quella recente CTP di roma, che ha disatteso un processo verbale antielusivo basato sulla solita  litania di parafrasi ammiccanti e insinuanti....la pubblicheremo presto  

segue l'articolo mio sul sole di oggi

IN PRIMO PIANO
Il Sole-24 Ore del lunedì - 2011-03-14 - Pag. 2

Pianificazione: neppure la norma sarà una garanzia

L'abuso del diritto è l'ultimo frutto avvelenato delle incomprensioni sulla «tassazione attraverso le aziende», dove il gettito arriva quasi del tutto dalle rigidità amministrative aziendali. Il modello entra in crisi man mano che l'azienda diventa flessibile, fino ad essere del tutto inapplicabile dove l'azienda, è unipersonale, come per gli autonomi che operano verso consumatori finali. Dove l'organizzazione aziendale non arriva, o i suoi titolari ne scavalcano le rigidità amministrative, c'è un problema di richiesta delle imposte, più che di lotta all'evasione. Tale richiesta dovrebbe però avvenire con i canoni millenari della stima, della valutazione per ordine di grandezza, che nessuno ha mai fuso con quelli legalistico-contabili seguiti dalle aziende. L'opinione pubblica si accorge che sfuggono centinaia di miliardi di euro, ma in mancanza di meglio si offrono rudimentali chiavi di lettura, come la dicotomia tra «onesti e disonesti», che produce solo schizofrenia sociale.

La drammatizzazione del clima spinge a trovare un ideale capro espiatorio nelle grandi aziende, orientate al profitto, complesse e che "non votano", senza neanche l'attenuante dell'evasione di sopravvivenza degli autonomi. Gran parte dei controlli del fisco si dirigono così ai suoi esattori-aziende e non all'eventuale ricchezza nascosta presso di loro - per cui servirebbero stime e valutazioni - ma al regime giuridico di quella palese . Le maggiori imposte in questo modo accertate sono grossolanamente accomunate, a fini statistici, con quelle connesse alla scoperta di ricchezza non rilevata. L'evasione "da interpretazione", e a maggior ragione l'abuso del diritto, si confondono con la ricchezza nascosta, che presso le aziende con una minima organizzazione non pare neanche cercata. Per farlo si dovrebbe ragionare per ordini di grandezza, stime e valutazioni, cioè agli antipodi dell'ordinaria tassazione attraverso le aziende.

Davanti alla schizofrenia dell'opinione pubblica, da cui le istituzioni non possono prescindere, sembra inevitabile che le colpe del sommerso ricadano sul dichiarato. Ridimensionati i rilievi sulla competenza, non essendo significativi quelli su inerenza e antieconomicità, l'abuso del diritto è la punta di diamante dell'inferno della ricchezza palese, a cui corrisponde il paradiso di quella nascosta. Tanto è vero che le diffuse contestazioni di quanto le aziende dichiarano non dispiacciono quando si possono prendere adeguate rivincite nell'ombra.

Oggi però, tramontate le aggressive elusioni del passato, sempre più spesso è aggredito non l'abuso, ma l'uso, la lecita pianificazione fiscale. Non saranno le modifiche legislative ventilate in questi giorni a introdurre la capacità di distinguere questi due concetti. Verosimilmente, l'aumento di segnalazioni alle procure per la dichiarazione infedele dipende proprio dall'evasione interpretativa e dall'abuso. Anche se su questi temi poi segue in genere l'archiviazione per mancanza di dolo, e sembra che, sull'abuso, alcune procure tendano persino a evitare la notizia di reato.

 

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