il diritto come scienza umana e sociale (Intorno alla legge di G Zagrebelsky) StampaLoading...
Scritto da Raffaello Lupi   
Giovedì 31 Dicembre 2009 00:00

Anche senza una riflessione generale sulle scienze umane e sociali (che prima o poi qualcuno dovrà fare e temo toccherà a noi), l'ultimo volume di Zagrebelsky (intorno alla legge , einaudi, 2009) conferma l'appartenenza del diritto a questo settore; le mie impressioni, scorrendo quella che poi è una raccolta di saggi già pubblicati in varie sedi, è la piena consapevolezza della dimensione umana e sociale del diritto. Tuttavia, le commistioni con la politica, all'interno del testo sono molte, come se la complessità del diritto derivasse da una "società aperta" , come se la democrazia costituzionale fosse la forma necessaria della convivenza sociale, come se non esistessero società complesse totalitarie (Germania Hitleriana e Cina di oggi in testa), cui occorre riferire anche la dimensione giuridica. C'è la consapevolezza che il diritto è uno strumento di organizzazione della convivenza sociale, qualcosa di più profondo dello studio di articolati legislativi spesso privi di senso, e contraddittori. Dopotutto è difficile, riflettendo, giungere a conclusioni diverse, ma il problema nelle scienze umane non è lo scontro di riflessioni, ma quello tra le riflessioni e gli stereotipi o la pigrizia mentale.

2) le commistioni con la politica e la carenza di una "teoria giuridica pura"

Il libro di Zagrebelsky non raggiunge una dimensione "pura" del diritto come strumento di organizzazione sociale, che sia applicabile dalle società aperte a quelle chiuse, democratiche e totalitarie, religiose o secolari, secondo tutte le varie sfumature intermedie. Il diritto, come forma di organizzazione sociale, esisteva, esiste ed esisterà in qualsiasi societas, anche dove si praticassero i sacrifici umani, il cannibalismo, la schiavitù, la segregazione razziale, la divisione in caste, la proprietà privata o la burocrazia statalista. Solo raggiungendo una teoria pura del diritto, questo può dialogare in modo paritario con altre discipline , come la politica o l'economia. I sentimenti appartengono a tutta la società e non spetta ai giuristi come tali apprezzare o respingere certi istituti della convivenza sociale, dalla pena di morte alla poligamia. I giuristi hanno il compito di adattare i valori condivisi di volta in volta dal gruppo all'organizzazione sociale, all'amministrazione della giustizia  o all'azione delle pubbliche autorità. 

Inserendo nel diritto aspetti contingenti, fossero pure i più nobili, non si riesce a darne una dimensione autonoma rispetto alla politica, alla religione, all'economia, alla morale, e a tutte le varie scienze sociali, per non parlare di quelle "umane", dalla poesia, alla letteratura, alla musica, al bisogno di identificazione, alle migliaia di giovani che agitano candeline ai concerti.  Nel libro di zagrebelsky una condivisione politica, una "buona politica", finisce per essere la condizione di un buon diritto, mentre l'esperienza di oggi ci mostra che possiamo avere una politica tutto sommato non malaccio, aperta e democratica, con un diritto da terzo mondo. Un'altra cosa che non emerge nel volume è la matrice unitaria di tutte le scienze sociali, l'osmosi tra politica, morale, religione, diritto , economia, poesia, letteratura, arte, l'interdipendenza e l'autonomia delle varie forme di manifestazione dello spirito umano. Se guardiamo ai processi staliniani, o a quelli per l'attentato ad Hitler, emerge come fossero teatrali messinscene della politica, ma anche nella russia sovietica o nella germania hitleriana c'erano aspetti della vita sociale lontani dal potere. Probabilmente uno storico, come Paolo Grossi, avrebbe svolto le stesse riflessioni in modo meno collegato con le contingenze politiche attuali. dietro si vede la mancanza di una teoria delle scienze pratiche, delle scienze umane e sociali.  Allo sviluppo delle tecnologie e delle scienze fisiche non ha fatto per ora riscontro un analogo sviluppo delle scienze umane, e senza una teoria delle scienze umane occorrono secoli di tradizione e di prassi per sedimentare comportamenti condivisi.

3) citazioni e riflessioni.

Nel volume è anche  frequente la tendenza espositiva del "qualcuno ha detto che", si parla di aristotele e di chi l'ha commentato, senofonte, heidegger, constant, pericle, hegel, spiazza  inevitabilmente chi non conosce questi referenti culturali, e finisce per rendere l'esposizione  autoreferenziale. Legittimarsi  collegandosi a "qualcuno ha detto che" è il modo più rapido per introdurre un discorso, ma anche quello più difficile da collegare alla sensibilità e alla conoscenza di chi legge. Finendo per compromettere uno degli obiettivi delle scienze umane, cioè mettere in grado i lettori di ripercorrere autonomamente, con il loro bagaglio culturale, le riflessioni che gli si propongono. La con-divisione, tipica della con-vivenza (per dirla con zagrebelsky) significa comunicare in modo da consentire al lettore la verifica e la rielaborazione, con i propri strumenti, conoscenze, etc.. Rispondere alle riflessioni con le citazioni non va esattamente in questa direzione, ma è un innocente vezzo in un volume comunque gradevole, e certamente, per dirla con la fraseologia della fondazione "non disumano", cioè fatto di riflessioni (anche se un pò troppo condite di citazioni!).