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Home Sanzioni Sull'elusione la cassazione penale marca il territorio
Sull'elusione la cassazione penale marca il territorio PDF Stampa E-mail
Sanzioni
Scritto da Raffaello Lupi   
Giovedì 01 Marzo 2012 11:50

La sentenza della cassazione sul caso  dolce e gabbana può essere contestualizzata in modo molto più sereno di quanto è stato fatto finora, perchè non è affatto vero che la cassazione penale abbia affermato la punibilità dell'evasione interpretativa. Ricrodiamo che siamo in un contesto  dove sfuggono persino i rapporti tra ricchezza non registrata e maggiore imposta accertata, e dove nella legge penale tributaria ci sono alcuni  malaugurati spunti a favore di  interpretazioni letterali, sistematicamente grossolane. Di fronte a questo  quadro normativo è del tutto normale una posizione "prudente" della cassazione penale, tesa a  "marcare il territorio", evitando quelle che lei vedeva come facili impunità. Un giudice abituato a trattare di rapine e di truffe è stato insomma giustamente cauto rispetto a una sentenza istruttoria che archiviava incondizionatamente la rilevanza penale

 

dell'evasione interpretativa in genere, più che dell'elusione. Chi legge questo sito sa cos'è l'evasione interpretativa, ma i magistrati della cassazione  penale un pò meno, e comprensibilmente non se la sentivano  di  avallare una sentenza istruttoria che altrimenti avrebbe fatto giurisprudenza, essendo relativa a un caso anche mediaticamente importante. Nella prassi generale, nella maggior parte dei casi, le questioni interpretative sono considerate giustamente  penalmente irrilevanti, perchè manca la ricchezza nascosta, utilizzando la tecnica della mancanza di dolo specifico. In questo caso, evidentemente, la procura ci aveva "messo  la faccia" e la cassazione ha avuto paura , in termini di politica criminale, di avallare una sentenza che aveva il torto di essere redatta forse in termini troppo generali e di poter essere utilizzata come un grimaldello per escludere comunque il dolo specifico su queste questioni. Insomma, la cassazione ha voluto  marcare il territorio  rispetto  a una affermazione troppo  netta e per lei avventata. La distinzione tra ricchezza non registrata e regime giuridico di ricchezza palese, o addriittura registrata, è chiara agli estremi , ma spesso i due profili si intrecciano, il che induce alla cautela. La cassazione non ha quindi detto che gli imputati devono essere condannati, ma ha solo ritenuto troppo sbrigativa e "di principio" la sentenza del GUP milanese , per essere una sentenza di archiviazione. D'altronde, che io sappia per elusione fiscale o questioni interpretative non è mai stato condannato nessuno. La cassazione ha solo ricordato la necessità di una certa cautela prima di escludere la presenza del dolo di evasione in fattispecie di questo  tipo, ma non ha affatto detto che per riconoscere l'assenza di dolo  nelle questioni interpretative si debba andare sempre a processo. La cassazione ha semplicemente cassato  una sentenza forse avventata, magari  corretta nel merito e nelle affermazioni  di principio, ma che avrebbe potuto portare a una riduzione della tutela penale delle ragioni dell'erario che i giudici, per ora, non si sono sentiti di avallare.

Commenti

avatar Giuseppe Gargiulo
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Dal suddetto principio si evince, infatti, chiaramente, come sottolinei anche tu, che la Corte non ha voluto affatto affermare la rilevanza penale di tutte le condotte che conducono ad un risparmio fiscale, ma solo di quei casi concreti di elusione della normativa fiscale , in cui, " tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico", non ci si può non rendere conto, secondo un canone di ragionevole prevedibilità, della asistematicità e quindi illiceità del risultato (i.e. risparmio fiscale) conseguito .
E' evidente, infatti, che laddove sia provata, in base ad argomenti e prove convincenti:
a) la asitematicità del risparmio fiscale conseguito (ossia la sua natura indebita, " tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico”)
b) la assenza (a titolo di mera esimente) di apprezzabile ragioni economiche che rendano quel risparmio fiscale tollerabile, ancorché evidentemente asistematico
c) la ragionevole prevedibilità della natura asistematica e quindi indebita del risparmio conseguito (che è un modo diverso di affermare la insussistenza di obiettive condizioni di incertezza e quindi del dolo)
mi sembra comprensibile che non possa essere esclusa a priori la rilevanza penale dell'elusione sub specie di “dichiarazione infedele semplice ex art. 4 del d.lgs 74/2000.
Peraltro, nel caso in esame, leggendo gli atti di causa per come riepilogati nelle premesse delle sentenza della Cassazione, mi sembra di capire che nel caso di specie, i giudici sono stati anche influenzati dal fatto, che la ipotesi di dichiarazione infedele che veniva contestata ai due stilisti, non era neanche fondata, a ben vedere, sull'applicazio ne strictu sensu della norma anti elusiva (ex l'art. 37-bis) , quanto sulla applicazione estensiva, ai fini delle determinazione del reddito imponibile dei due stilisti (sub specie di “redditi diversi”), della regola del valore normale, considerato che, nel caso in esame, la cessione del marchio era intercorsa tra due persone fisiche residenti in Italia ed una loro società controllata estera (e quindi non esisteva une effettività terzietà tra le parti della transazione, idonea ad assegnare al corrispettivo contrattuale quella funzione di equa determinazione del valore di mercato effettivo del bene scambiato) il tutto finalizzato a finalizzata a far si venisse tassato in Italia l’intero plusvalore ragionevolmente maturato in Italia fino a quella data sul marchio stesso.
avatar Giuseppe Gargiulo
0
 
 
per un refuso mi si era troncato il messagio che era il seguente:

Caro Raffaello,
in linea con quello che dici tu, a me sembra (e non so se mi sbaglio) che la parte più importante della sentenza sia quella (par. 4.9 della motivazione) dove si specifica (a mio modo di vedere correttamente) che:
"La affermazione della rilevanza penale delle condotte elusive in materia fiscale, nei limiti sopra specificati, non contrasta con il principio di legalità, ..... trattandosi di un risultato interpretativo «conforme ad una ragionevole prevedibilità», tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico.
Se il principio di legalità venisse diversamente applicato nella materia di cui si parla si chiuderebbero gli spazi non solo della normativa penale generale, ma anche di quella speciale di settore: la plurima invocazione del principio di specialità trasformerebbe questo in principio di impunità, pur in presenza di una descrizione della fattispecie elusiva provvista dei necessari caratteri di determinatezza."

Dal suddetto principio si evince, infatti, chiaramente, come sottolinei anche tu, che la Corte non ha voluto affatto affermare la rilevanza penale di tutte le condotte che conducono ad un risparmio fiscale, ma solo di quei casi concreti di elusione della normativa fiscale , in cui, " tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico", non ci si può non rendere conto, secondo un canone di ragionevole prevedibilità, della asistematicità e quindi illiceità del risultato (i.e. risparmio fiscale) conseguito .
E' evidente, infatti, che laddove sia provata, in base ad argomenti e prove convincenti:
a) la asitematicità del risparmio fiscale conseguito (ossia la sua natura indebita, " tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico”)
b) la assenza (a titolo di mera esimente) di apprezzabile ragioni economiche che rendano quel risparmio fiscale tollerabile, ancorché evidentemente asistematico
c) la ragionevole prevedibilità della natura asistematica e quindi indebita del risparmio conseguito (che è un modo diverso di affermare la insussistenza di obiettive condizioni di incertezza e quindi del dolo)
mi sembra comprensibile che non possa essere esclusa a priori la rilevanza penale dell'elusione sub specie di “dichiarazione infedele semplice ex art. 4 del d.lgs 74/2000.
Peraltro, nel caso in esame, leggendo gli atti di causa per come riepilogati nelle premesse delle sentenza della Cassazione, mi sembra di capire che nel caso di specie, i giudici sono stati anche influenzati dal fatto, che la ipotesi di dichiarazione infedele che veniva contestata ai due stilisti, non era neanche fondata, a ben vedere, sull'applicazio ne strictu sensu della norma anti elusiva (ex l'art. 37-bis) , quanto sulla applicazione estensiva, ai fini delle determinazione del reddito imponibile dei due stilisti (sub specie di “redditi diversi”), della regola del valore normale, considerato che, nel caso in esame, la cessione del marchio era intercorsa tra due persone fisiche residenti in Italia ed una loro società controllata estera (e quindi non esisteva une effettività terzietà tra le parti della transazione, idonea ad assegnare al corrispettivo contrattuale quella funzione di equa determinazione del valore di mercato effettivo del bene scambiato) il tutto finalizzato a finalizzata a far si venisse tassato in Italia l’intero plusvalore ragionevolmente maturato in Italia fino a quella data sul marchio stesso.
avatar Simone Covino
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Giustamente, come ci siamo detti a voce, la Cassazione si è voluta tenere le mani libere... il GUP forse era andato un po' troppo "oltre". Dai titoloni di giornale sembrava una questione ben diversa: molto rumore per nulla, citando il Bardo.
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