sullequalizzatore (e la tassazione sul maturato) una "voce" , senza argomenti |
Tassazione societaria | |||
Scritto da Raffaello Lupi | |||
Venerdì 18 Febbraio 2011 21:43 | |||
Nella confusione dilagante, non contrastata e forse anche assecondata dall'accademia dei tributaristi, ognuno può dire quel che vuole , compreso che il criterio del maturato "rimanda nel tempo la tassazione (come un qualsiasi altro debito) abbassa il peso dell’imposta e costituisce quindi un vantaggio fiscale". Lo sostiene Cecilia Guerra, ribadendo un suo vecchio pallino, e precisamente quello dell'equalizzatore. Ma non è colpa sua, quanto del fallimento dell'accademia giuridico tributaria. qui a proposito del momento impositivo della ricchezza. Nessuno tributarista ha mai scritto chiaro e forte che non è sufficiente una plusvalenza "virtuale", salve esigenze di precisione e simmetria che qui non sussistono, o comunque Cecilia Guerra non ci spiega. Solo perchè i titoli in portafoglio sono aumentati di valore. Tanto è vero che persino il reddito di impresa, che abbandona il criterio della monetizzazione, adotta quello della rilevanza del credito. Ma neppure nel reddito di impresa, se uno ha in portafoglio azioni quotate, ha obblighi di pagare le imposte sulle relative rivalutazioni, prima di averle realizzate. Tanto è vero che viene addotto a difesa una fantomatica "tassazione a fin di bene" , il "lock in effect" , che andrebbe bene in una tassazione progressiva (dove è meglio tassare gli aumenti di valore man mano che si producono in modo da non far scattare le aliquote progressive alla monetizzazione), ma è del tutto ingiustificato in una tassazione proporzionale. Ma lo sfilacciamento della riflessione è tale che chiunque possieda un sito internet può buttare li qualcosa. Perchè l'inesistenza della comunità scientifica del diritto tributario consente a esponenti di altre comunità scientifiche, anche bravi , come Cecilia Guerra, (che non capisco perchè si sia fissata con questa cosa) di dire palesi inesattezze, non dico senza confutazioni, ma senza che neppure si apra una discussione. Fortunatamente c'è, su la voce.info una osservazione a firma Luigi Spaventa (è lui o non è lui direbbe Ezio Greggio!), ma se è lui non è tacciabile nè di superficialità, nè di essere un amico del Giaguaro delle SIM che , dicendo pane al pane, scrive Si confonde una questione di livello dell'aliquota - un 12,5% scandalosamente basso, ma un 27% sui depositi troppo alto - con una di modo di tassazione. La tassazione sul maturato in capo ai fondi era un'assoluta bizzarria: l'equalizzatore era una complicazione che non risolveva il problema. Negli anni ha creato un anomalo accumulo di crediti di imposta, inesigibili e a rendimento zero, che, iscritti nel patrimonio dei fondi, ne hanno ridotto il rendimento medio, con effetti di instabilità (riscatti) pericolosi, quando i crediti si avvicinavano, come a volte è avvenuto, alla metà del patrimonio: un problema, quello dei crediti accumulati, rimasto insoluto Spesso la letteratura, le citazioni, negli accademici (e lo sappiamo bene noi che veniamo tributario!!) ottundono la capacità di guardare fuori dalla finestra e di rendersi conto di come stanno le cose. Aggiungo al prof. Spaventa la necessità di verificare se per caso non c'è un problema di riporto indietro delle perdite, perchè se l'azione si rivaluta di 10 , io pago e poi riscende di nuovo , e non risale pi, chi mi restituisce le imposte anticipate a fronte di una plusvalenza virtuale?? Bisognerebbe parlarne in un articolo su dialoghi.
UNA RIFORMA STRABICA A FAVORE DELLE RENDITE di Maria Cecilia Guerra 18.02.2011Il decreto milleproroghe contiene tra l'altro la revisione del regime di tassazione dei fondi comuni di investimento. Per rilanciare l'industria dei fondi italiani, rimettendo su un piano di parità la tassazione dei fondi interni con quella dei fondi comunitari armonizzati. Si tratta invece di una misura protezionistica a favore di un'industria debole. E il passaggio alla tassazione alla realizzazione per le sole gestioni collettive, senza intervenire sugli altri aspetti della tassazione del risparmio, rende il regime nel suo complesso ancora più sperequato. Uno degli interventi di maggior rilievo del Milleproroghe riguarda la revisione del regime di tassazione dei fondi comuni di investimento. LA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO FRA FONDI ITALIANI E ESTERI La stampa sembra essere abbastanza unanime nel ritenere l’intervento un atto dovuto per rilanciare l’industria dei fondi italiani, rimettendo su un piano di parità la tassazione dei fondi interni (e cioè quelli con sede in Italia e quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento in Italia) con quella dei fondi comunitari armonizzati (con sede in un altro Stato membro dell’Unione Europea e conformi alle direttive comunitarie). LA NORMA CONTENUTA NEL MILLEPROROGHE La norma contenuta nel Milleproroghe supera le discriminazioni ricordate prevedendo che, in analogia con quanto già avviene per i fondi esteri, la tassazione sul risparmio gestito avvenga in capo al sottoscrittore, invece che al fondo, al momento della realizzazione. UNA RIFORMA STRABICA Il passaggio alla tassazione alla realizzazione, per le sole gestioni collettive, senza intervenire sugli altri aspetti della tassazione del risparmio, lascia quindi un regime, nel complesso, ancora più sperequato: COSÌ FAN TUTTI? Va sottolineato che un differimento di imposta così marcato come quello che sta per essere introdotto per i fondi italiani non è caratteristico delle legislazioni estere. Negli altri paesi europei esistono, a volte, ritenute alla fonte sui redditi di capitale e, generalmente, il differimento dell’imposta, anche sulle plusvalenze, è eliminato o limitato attraverso strumenti quali: l’imputazione al sottoscrittore dei redditi del fondo secondo un criterio "pro-rata" (cosiddetta trasparenza fiscale); l’assoggettamento a imposta in capo al fondo dei redditi non distribuiti (ad esempio con un prelievo di tipo patrimoniale); la previsione per il fondo dell’obbligo di distribuire periodicamente l'intero ammontare degli utili che riceve.
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