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Home Tassazione societaria M&A e indennizzi a carico del venditore per passività aziendali sopravvenute: quale collegamento con la vendita originaria?
M&A e indennizzi a carico del venditore per passività aziendali sopravvenute: quale collegamento con la vendita originaria? PDF Stampa E-mail
Tassazione societaria
Scritto da Dario Stevanato   
Mercoledì 29 Giugno 2011 20:38

di Dario Stevanato

Quando si trasferisce una azienda di certe dimensioni, acquisendo  la società che la contiene, sono previste in genere clausole di garanzie, con cui il venditore si obbliga a tenere indenne il compratore rispetto al verificarsi di “sopravvenienze passive” in capo alla società acquisita, dovute a passività che si manifestano successivamente al trasferimento della partecipazione, ma trovano la loro origine

e fonte genetica in accadimenti riconducibili alla gestione passata. Si tratta cioè di passività latenti, ignote al momento della stipula del contratto di acquisizione, che le parti concordano (ove mai dovessero emergere) di far gravare economicamente sul venditore. Quest’ultimo si obbliga dunque a manlevare il compratore, versando un “indennizzo” o un “risarcimento”, che dal punto di vista economico-sostanziale costituisce – al di là della terminologia utilizzata nelle clausole di questo tipo – una rettifica-prezzo, corrispondente ad una rideterminazione a posteriori del valore economico dell’entità compravenduta.

Il pagamento di queste somme da parte del venditore richiede di essere inquadrato dal punto di vista giuridico-tributario, sia per il venditore che per l’acquirente. Occorre peraltro distinguere a seconda che le somme (l’indennizzo) vengano versate all’acquirente, o alla società oggetto dell’acquisizione.  Apparentemente, se destinataria dell’indennizzo/risarcimento è quest’ultima, parrebbe configurarsi una sopravvenienza attiva. Il che imporrebbe di interrogarsi sulla tassabilità della stessa, anche con riferimento all’eventualità che il risarcimento si riferisca, ristorando la società, a somme non deducibili (ad esempio imposte pagate in conseguenza di accertamenti relativi alla gestione passata). Se si trattasse di una sopravvenienza attiva, per la società ricevente le somme, sarebbe tuttavia problematico escluderne la tassabilità, anche nell’ipotesi in cui le somme andassero a risarcire un costo indeducibile: l'indennizzo non farebbe infatti venir meno l'esborso, costituendo invece una reintegrazione del patrimonio eroso dal sostenimento della “sopravvenienza passiva", per riportarlo al livello iniziale (cioè quello preso a base delle trattative prodromi che all’acquisizione). Non sarebbe insomma facilmente assimilabile all'ipotesi del rimborso di imposte indeducibili, in altre parole non si tratterebbe della “sopravvenuta insussistenza di un onere (non) dedotto in precedenti esercizi”, in quanto l’imposta pagata a seguito dell’accertamento resterebbe ferma: a venir meno in tali casi non è la causa genetica dell’esborso, quanto i suoi  effetti sul piano della diminuzione patrimoniale subita dalla società oggetto di acquisizione (l’indennizzo serve a ripristinare il livello del patrimonio antecedente all’esborso). E’ un po’ come se un ente pubblico erogasse un contributo a ripianamento di una perdita di esercizio: il contributo sarebbe integralmente tassato, indipendentemente dalla deducibilità o meno dei costi che hanno determinato la perdita. Lo stesso dicasi ovviamente per l’ipotesi in cui l’indennizzo venga erogato con riferimento allo stesso esercizio in cui la target sostiene l’esborso indeducibile.

Le clausole di garanzie di cui sopra vanno tuttavia inquadrate diversamente, qualificando l’indennizzo come una restituzione/rettifica di prezzo, il che sterilizza il tema della tassabilità delle somme (come sopravvenienze attive) in capo alla società target che le riceve.

A fronte dell’obbligo di indennizzare il compratore a fronte delle cd. “sopravvenienze passive”,  l’erogazione di somme al compratore medesimo si configura quale restituzione/rettifica di prezzo alla luce di fatti sopravvenuti (ma che si riferiscono alla gestione ante-acquisizione)

Per il venditore che le eroga, si verifica una sopravvenienza passiva (se società o impresa), o  una ipotesi di restituzione del reddito (onere deducibile ex art. 10 lettera d-bis del Tuir). Nel primo caso, la sopravvenienza passiva ha natura omogenea rispetto alla plusvalenza da cessione della partecipazione, dunque dovrebbe essere trattata fiscalmente allo stesso modo (se la plusvalenza era tassabile solo in parte, in quanto pex, lo stesso regime andrà applicato alla sopravvenienza passiva).

Per l’acquirente, le somme ricevute configurano una rettifica del costo della partecipazione acquisita. Qualora questa non esista più, per essere intervenuta la fusione tra l’acquirente e la target (ipotesi assai frequente), occorre riferire la rettifica al disavanzo di fusione: la diminuzione del prezzo (conseguente alla sua parziale rettifica/restituzione)  avrebbe determinato un minor disavanzo, dunque una riduzione del valore dei beni cui lo stesso è stato allocato. Appare dunque sistematicamente corretto portare la somma incassata dall’aggregato “incorporante (acquirente) – incorporata” a riduzione del valore dei beni iscritti a fronte del disavanzo di fusione (senza effetti fiscali visto che questi sono fiscalmente non riconosciuti).

Qualora invece le somme (l’indennizzo) vengano versate alla società target, rimpinguando il suo patrimonio, al di là delle apparenze si tratta di un “conferimento postumo”, da trattare fiscalmente come tale (ovvero da considerare fiscalmente irrilevante): è come se il venditore (già socio della target) effettuasse, ora per allora, un conferimento atipico (versamento a fondo perduto o in conto capitale) per ripristinare il livello del patrimonio della target e renderlo coerente con il valore economico preso a base per la fissazione del prezzo di acquisizione. Per il venditore, il versamento va ad integrare – sempre in modo postumo – il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, riducendo dunque l’originaria plusvalenza o capital gain.

In tutti i casi, insomma, l’attivazione di clausole di garanzia origina per l’avente causa soltanto  effetti soltanto sul piano patrimoniale, trattandosi di un fenomeno riconducibile ad una restituzione di parte del prezzo di acquisto della partecipazione, o di ricapitalizzazione della società target. Per il venditore, l’erogazione dell’indennizzo va alternativamente inquadrata quale restituzione del prezzo, o aumento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione venduta a suo tempo: in entrambi i casi l’effetto è una riduzione della differenza imponibile realizzata in occasione della cessione, da far valere come sopravvenienza passiva (per le imprese) o come restituzione del reddito deducibile ex art. 10 lettera d-bis Tuir.

Torneremo sul tema, con maggiore dettaglio, in un articolo in corso di preparazione per Dialoghi.

Commenti

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Commento di Giuseppe Gargiulo

Forse può essere di qualche interesse segnalare sul tema anche la R.M.154/E del 15/12/2004, che, se non interpreto male, avalla una soluzione in linea con quella sopra individuata dal Prof. Stevanato, che è poi conforme, anche dal punto di vista tributario e contabile, alla effettiva natura economico/giuridica di tale clausole contrattuali, che è quella, appunto, di "adeguamento prezzo", sia per il cedente che simmetricamente per l'acquirente .

Provo a condividere alcune riflessioni, sperando di non aver frainteso il pensiero del Prof. Stevanato.

In ipotesi di riduzione del prezzo di vendita della azienda originariamente concordato, per il cedente, che deve restituire all’acquirente una parte del prezzo di vendita a suo tempo incassato (per indennizzarlo di fatti sopraggiunti, che possono essere o un sopraggiunto minor valore di avviamento o per sopravvenienze passive relative a fatti gestionali precedenti), si avrà una minor plusvalenza (ovvero una sopravvenienza passiva se manifestatasi in esercizio successivo, ma che dovrebbe seguire lo stesso trattamento fiscale che ha subito la plusvalenza originaria sulla cessione della azienda); per l'acquirente dell’azienda (a cui viene restituito una parte del prezzo), simmetricamente, si avrà un minor costo di acquisto dell’azienda, che potrà essere allocato contabilmente, a secondo della natura economica del fatto che ha generato l’obbligo di restituzione del prezzo, o a un minor costo di avviamento ovvero ad un componente positivo di reddito finalizzato a controbilanciar e la sopravvenienza passiva che si è manifestata nel complesso aziendale acquisito e che detta restituzione di prezzo va appunto a “reintegrare”.

Ove oggetto di cessione siano state quote societarie (e non direttamente un complesso aziendale), la restituzione di prezzo per il cedente (in forza della suddetta clausola di adeguamento) è sempre una minor plusvalenza da cessioni quote (ovvero una sopravvenienza passiva se manifestatasi in esercizio successivo, ma che dovrebbe seguire il trattamento fiscale della plusvalenza originaria su partecipazioni), mentre per l’acquirente delle quote (che beneficia della restituzione del prezzo), detta restituzione prezzo dovrebbe andare a ridurre sempre il costo fiscalmente riconosciuto di acquisto della partecipazione se la somma viene incassata direttamente dall’acquirente medesimo (a fronte, appunto, dell’incasso, in “dare”, delle somma). Ove detta somma venga versata, invece, direttamente dal venditore nelle casse sociali della società target oggetto di cessione, al fine di ripristinare il patrimonio netto di quest’ultima, si tratterebbe di un versamento soci a fondo perduto fatto in base ad un obbligo contrattuale assunto dal venditore (ex socio) nei confronti dell’acquirente (nuovo socio) ed in questo caso il versamento a favore della società target deve intendersi effettuato in nome e per conto di quest’ultimo (ossia del nuovo socio): quindi la società target beneficiaria della dazione dovrebbe registrare, in avere, un versamento soci (o meglio un versamento a patrimonio atipico ricevuto in nome e per conto del nuovo socio), mentre l’acquirente delle quote (nuovo socio) dovrebbe lasciare immutato, nella sua contabilità, il costo della partecipazione (invero, idealmente si potrebbe anche registrare la riduzione del costo della partecipazione (in avere), per la restituzione prezzo, per poi ripristinare (in dare) il costo originario della medesima partecipazione a fronte del versamento a fondo perduto fatto pervenire a favore della partecipata target, rimanendo comunque immutato il saldo del costo di acquisto della partecipazione).



Ovviamente, simmetriche e speculari considerazioni rispetto a quelle sopra svolte (per la restituzione prezzo) si dovrebbero fare nel caso opposto di pagamento di un prezzo di vendita aggiuntivo rispetto a quello pagato originariamente (ad es. per la sopraggiunta verifica di un maggior valore di avviamento o per il manifestarsi di sopravvenienze attive dopo il “closing” relative a fatti di gestione precedenti)
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