Loading...

Area riservata

Newsletter

Nome:
E-mail:

Link

Siti amici, partners o semplicemente di interesse che vi segnaliamo. Accedi
 3 visitatori online

Una teoria per i tributaristi

Questo sito vuol contribuire a una teoria della tassazione, conciliando quella ragionieristica attraverso le aziende con quella valutativa attraverso gli uffici. Pur cercando di essere comprensibile da tutti, parte da aspetti facilmente inquadrabili dagli operatori del settore. www.giustiziafiscale.com   si rivolge invece direttamente agli opinion makers e agli esponenti della pubblica opinione. Sull'organizzazione sociale in generale www.organizzazionesociale.com

Home Tassazione societaria sinergie tra imprese o operazioni permutative?
sinergie tra imprese o operazioni permutative? PDF Stampa E-mail
Tassazione societaria
Scritto da Raffaello Lupi   
Lunedì 18 Luglio 2011 05:55

Nell'inutile tormentone delle rettifiche sul regime giuridico del dichiarato, le contestazioni sulle pretese operazioni permutative

svolge un ruolo significativo. Lo abbiamo già visto su Dialoghi per il tormentone infinito dei cosiddetti "sconti qualitativi" praticati dalla grande distribuzione per la partecipazione a campagne promozionali da parte dei clienti, oppure per l'esposizione preferenziale dei prodotti, oppure nei rapporti tra produttore automobilistico e concessionario di vendita, in relazione ai "premi" per la visibilità espositiva delle auto, la cortesia degli addetti alla vendita, come pure nei rapporti tra rivenditori di carburante e società petrolifere. In generale, tutte le volte che un rivendtore è un simbolo del produttore verso il pubblico, il premio per l'immagine positiva può essere in vario modo remunerato, ma non è certo una prestazione pubblicitaria autonoma rispetto al ruolo istituzionale di vendere autovetture, benzina e quant'altro. Invece uffici dell'amministrazione finanziaria e della GDF , nel solco dell'atteggiamento causidico-avvocatesco impresso dalla "dottrina" (ah ah) al nostro diritto tributario, cominciano a paventare chissà quali operazioni permutative, su cui andrebbe applicata un'IVA richiesta al fornitore, ma non riconosciuta in detrazione al preteso cliente. Non si arriva al delirio di immaginare un "omesso ricavo" del preteso fornitore o un omesso costo del preteso cliente, perchè gli sconti attivi e gli sconti passivi ci sono già .Però ci sono gli asporti di rifiuti, dove invece si può verificare anche questo: un cementificio porta via gratuitamente il materiale di risulta di un lavoro stradale, oppure una industria chimica preleva bitume di scarto che andrebbe smaltito. Dietro l'angolo c'è il dotto verbale di disquisizione , in perfetto stile accademico, che parte subito con la supercazzola, scambio in natura il cementificio deve fatturare un servizio di asporto, e l'appaltatore del lavoro stradale deve fatturare una cessione di materiali. Qui, oltre all'IVA, c'è anche l'omesso costo e l'omesso  ricavo, dove il ricavo viene accertato e il costo non è buono perchè non è stato registrato...Delirio!!!!! Le istituzioni capiscono che è assurdo, ma non sanno scrivere chiaramente perchè, non sanno fermare la macchina, non sanno come opporsi ai propri "solerti" verbalizzatori che si ammantano di legalità (magari per farsi belli qui e poi rubare da un'altra parte). Come si fa a mettersi contro le statistiche? E poi il solito tacabanda del "mica mi dirai che le aziende sono oneste". strizzatina d'occhio, se non hanno fatto questo avranno fatto qualche altra cosa...Quindi la cosa va stancamente avanti, secondo il solito copione inutile, ma comodo. Il difficile è spiegare perchè mai se la Ford regala una vettura in cambio di un lavoro edile la deve fatturare senza dubbio mentre in questi casi no....La risposta è che non c'è alcuna autonomia tra queste prestazioni ..ogni impresa fa un servizio a se stessa, senza corrispettivo o agendo sul corrispettivo del rapporto principale di fornitura, nel caso della GDO, oppure nel caso delle società automobilistiche o petrolifere per i rispettivi rivenditori...Non è un ricavo, ma è l'ottenimento di un fattore produttivo "a costo zero". Come la simbiosi tra gli animali spazzini che si nutrono dei parassiti dei grandi carnivori, come gli squali che si fanno pulire i denti da piccoli pesci che si nutrono di quello che ci rimane impigliato. Perchè ottenendo quel fattore produttivo, il materiale di risulta, il cementificio svolge una azione utile a se stesso, e parimenti l'azienda di costruzioni stradali. Il cementificio sosterrebbe gli stessi costi se lo andasse a prelevare da una discarica, o al limite dai cassonetti, e la società di lavori stradali non consegue un ricavo, ma si libera di un costo. Con tutti i problemi che ha la fiscalità italiana ci perdiamo dietro a queste cose, perchè abbiamo una accademia solo in senso di espressione burocratica. Di centro di smistamento cattedre, senza il minimo controllo della materia.  Nel migliore dei casi abbiamo consulenti, che si atteggiano a studiosi per vendere più consulenza.  Oppure, purtroppo, cervelli che a forza di parafrasare materiali si sono, col tempo, atrofizzati alla riflessione. In nessuno dei due casi si torna indietro. ma almeno i primi fanno i soldi.

Commenti

avatar Giuseppe Gargiulo
0
 
 
Leggendo le note di Raffaello, mi viene da osservare che forse un "povero" contabile, abituato a guadare le operazioni aziendali con la "banale" ma "ferrea" logica contabile della partita doppia (non distratto dalle "sirene" delle dotte affabulazioni sulla qualificazione civilistica delle operazioni in esame), non avrebbe avuto difficoltà a rendersi conto di quello che evidenzia Raffaello e cioè che l'operazioni in esame, al di là di come la si qualifichi civilisticament e, non è idonea, per sua natura, a determinare alcun errore nella misurazione del reddito d'impresa imponibile, atteso che se anche l'operazione in esame fosse stata letta (ancorché non condivisibilmen te) come permuta (di prestazione di servizi di trasporto contro cessione di scarti di lavorazione) , si avrebbe comunque avuto un impatto nullo sulla misurazione del reddito d'impresa imponibile, atteso che il cementificio dell'esempio avrebbe dovuto rilevare, tra i ricavi, il valore normale del servizio di trasporto reso ma tra i costi anche il simmetrico ed eguale valore normale del costo di acquisto figurativo del materiale di scarto acquisito in controprestazio ne. Parimenti l'azienda di costruzioni stradali dell'esempio avrebbe dovuto rilevare, tra i ricavi, il valore normale degli scarti di lavorazione ceduti e tra i costi l'eguale e simmetrico valore di acquisto del servizio di trasporto ricevuto in controprestazio ne. Insomma un gioco a somma zero!! Ora di fronte alla chiara percezione di ciò (che è intuitiva, almeno per chi sa un po’ di contabilità e di misurazione economica del reddito d'impresa) , viene da domandarsi, mettendosi questa volta nei panni del giurista, ed in piena sintonia con le riflessioni di Raffaello, come sia possibile che in presenza di un errore "innocuo" (ai fini della misurazione del reddito imponibile) di qualificazione della presunta natura permutativa della operazioni in esame e di conseguente rilevazione contabile non si riesca, come comunità di operatori, a sdrammatizzare la questione in via interpretativa ed amministrativa , sfruttando al meglio le possibilità esistenti de iure condito . Ad esempio (ed in alternativa alla "via civilistica" di insistere sulla natura "autonoma" e non sinallagmatica delle due controprestazio ni, che mi sembra essere assai scivolosa ed insidiosa) non potrebbe forse più semplicemente - in una logica tutta interna al sistema tributario del reddito d'impresa - trovarsi la soluzione normativa nell'ambito della regola (e del principio sotteso) all' art. 109, comma 4, lett. b) secondo periodo, del TUIR, in cui si afferma che "le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati a conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi" ? Nel caso in esame, infatti, se l'operazione fosse stata letta come "permuta", si avrebbe avuto un ricavo "permutativo", che pur non risultando contabilizzato ed impuntato a conto economico avrebbe comunque concorso a formare il reddito imponibile, con la conseguenza che anche il relativo costo "permutativo", che si è omesso simmetricamente di contabilizzare a conto economico (da per assodato come si rilevi contabilmente l’operazione permutativa in esame) deve potere essere dedotto, se risultante (come nel caso in esame) da elementi certi e precisi.
Non so se la soluzione normativa da me ipotizzata possa funzionare ed essere considerata corretta (probabilmente in queste veloci considerazioni avrò preso un abbaglio), ma quello che mi rimane dentro da questo esempio di Raffaello è una indicazione di metodo: prima di gridare "dura lex sede lex" bisogna individuare il problema, capire "i valori" sottesi alla sua giusta soluzione, in coerenza con la logica del sistema normativo di riferimento (con le diverse esigenze tra Iva e redditi), e poi essere sereni nel cercare la disposizione che opportunamente interpretata potrà darà copertura alla nostra tesi. L'accettazione della nostra tesi da parte l'Agenzia delle Entrate e poi da parte della giurisprudenza dipenderà ovviamente dalla nostra capacità di argomentare in modo chiaro e "giuridicamente" convincente , ma ancora prima, forse, dal grado di sensibilità giuridico-tribu taria presente nelle società e nelle istituzioni di riferimento sul tema. Infatti, il grado di pre- comprensione del problema da parte del ns interlocutore di riferimento (cioè la Agenzia delle Entrate e solo in seconda battuta , con funzione di controllo, la giurisprudenza) è infatti un elemento decisivo affinché possa funzionare una qualunque strategia di comunicazione....e quindi anche il diritto. Compito della comunità degli studiosi è creare questa cultura giuridico-tribu taria diffusa e condivisa, che non faccia disperdere tante energie amministrative e giurisdizionali su questioni la cui soluzione dovrebbe potersi trovare agevolmente in via interpretativa all’interno del sistema normativo esistente, senza dover invocare l’ennesimo intervento correttivo del Legislatore......come dire "aiutati da solo (con il buon senso e la logica), che poi anche il Legislatore (modermo "Dio") ti aiuta".... ".
avatar FaGal
0
 
 
Due rapide considerazioni.
Se già parliamo di operazioni permutative, o anche solo se il problema sono le operazioni, quindi il trattamento della singolo atto economico, semanticamente si capisce che il problema fiscale non é il risultato economico prodotto (il reddito positivo o negativo) ma il trattamento fiscale eventualmente riservato alle tasse che colpiscono l'atto o l'attività posta in essere per conseguire un risultato economico, cioé le imposte sugli atti applicabili (imposte indirette, iva, registro...) Ci sarà pure una ragione se qualcuno si é dato la briga di regolarle nelle leggi d'imposta....Se proprio si vuole dare un senso quindi é in questi termini che andrebbe impostato un ragionamento di corretto prelievo....
avatar Giuseppe Gargiulo
0
 
 
Non credo di avere ben capito le osservazioni di FaGal (e me ne scuso in anticipo). In linea generale, a me risulta, che le operazioni permutative non sempre hanno un impatto nullo sulla misurazione del risultato economico prodotto nell'esercizio ..... Quindi il problema delle operazioni permutative potrebbe, in alcuni casi, anche avere rilievo ai fini delle imposte sui redditi e della corretta misurazione del risultato economico dell'esercizio (e nonsolo quindi delle imposte d'atto o dell'Iva) : .....basti pensare al caso di una permuta di beni costituenti immobilizzazion i in cui, ad esempio, permuto un bene strumentale avente un valore di carico contabile di 50 ma un valore corrente di scambio di 100, per acquisire in permuta un altro bene sostitutivo di eguale valore corrente di 100: in questo caso avrei nell'esercizio una plusvalenza di 50 sulla cessione del primo bene (100-50) , mentre in contropartita acquisirei un costo pluriennale di 100 del nuovo bene strumentale, che non mi deduco però tutto nell'esercizio ,in cui realizzo la permuta, ma SOLO in più esercizi sotto forma di future quote di ammortamento (in questo caso, è evidente che l'operazione permutativa non è neutra nella misurazione del risultato dell'esercizio , atteso che la plusvalenza ed il maggior costo non si elidono a vicenda nel medesimo esercizio, ma solo su periodi di imposta diversi ) ...o ancora basti pensare al caso in cui si permuta , nell'esercizio, un terreno merce, contro l'acquisto di immobili patrimonio e/o strumentali (aventi un valore corrente di scambio superiore al valore di carico del terreno permutato): il cedente realizza nell'anno della permuta il ricavo da cessione di terreno edificabile (tutto tassato nell'anno), mentre il costo di acquisto degli immobili che riceve in permuta non lo deduce tutto nel medesimo esercizio, ma solo negli esercizi successivi (con le quote di ammortamento per gli immobili strumentali e al momento della futura rivendita per gli immobili patrimonio)..
.....per questo, nell'esempio di Raffaello, mi sembrava decisivo osservare che anche nella ipotesi in cui l'Agenzia avesse voluto insistere (non condivisibilmen te) sulla natura permutativa dell'operazione in esame, e non capire che in realtà non vi era stata alcuno scambio sinallagmatico, essa non avrebbe potuto fare a meno di rendersi conto che, nel caso in esame, non si sarebbe comunque prodotto alcun errore nella misurazione del risultato dell'esercizio, ai fini delle imposte sui redditi, atteso che oggetto della permuta erano due fattori correnti di produzione per cui il ricavo permutativo ed il costo permutativo si elidevano a vicenda nel medesimo esercizio... resisi conto di ciò bisognava solo trovare la copertura normativa per non arrivare alla assurda conclusione "formalistica" e "vessatoria" secondo cui che il ricavo permutativo asseritamente omesso doveva essere tassato nell'esercizio mentre il simmetrico costo permutativo omesso invece non poteva essere dedotto (perché non registrato). Io avevo così interpetato il senso di questo ennesimo esempio di "inferno del dichiarato" fatto da Raffaello e mi ero cimentato ad ipotizzare una soluzione normativa (ove, s’intende, non fossimo riusciti a convincere, in via principale, l'Agenzia che nel caso in esame non vi era stata in realtà alcuna permuta, come be spiegato da Raffaello).
avatar FaGal
0
 
 
Le considerazioni che svolgi GG sono più che corrette, ci mancherebbe.
Le fattispecie che citi si possono senza dubbio concretizzare; però, come hai scritto ed era anche a me venuto in mente, si tratta di rilievi fiscali relativi alla violazione del principio di competenza temporale. Per cui, salvo regimi differenziali impositivi tra i soggetti coinvolti, non ci vedo un'occultamento tributario quanto piuttosto un errore doloso o colposo delle registrazione dei componenti di reddito comunque dichiarati. Quindi, secondo le istruzioni amministrative e il diritto giurisprudenzia le andrebbero poi consentite le rettifiche a favore del contribuente. Mi era invece venuto in mente qualcosa in materia di operazioni permutative di cui si era trattato anche su Dialoghi tributari http://www.studiorighini.it/Upload/pubbl34.pdf , come esempio per un possibile evasione d'imposta. Casi comunque non ricorrenti.
L'invito di RL mi sembrava piuttosto a fare ipotesi strutturate sul sommerso piuttosto che congetture sul dichiarato....se ho ben colto
avatar Giuseppe Gargiulo
0
 
 
Ho capito e condivido......sarebbe meglio concentrarsi sul sommerso.....piuttosto che sul regime giuridico del dichiarato.....ma cosi' vanno i tempi....speriamo che cambino
Per postare commenti o rispondere è necessario loggarsi.
 

Copyright © 2009 Fondazione Sudi Tributari | Tutti i diritti riservati | CF/P.IVA 97417730583

PixelProject.net - Design e Programmazione Web